di Barbara Martusciello
Claudio Orlandi ha trovato una zona mediana d’incontro tra la restituzione più palesemente figurativa della realtà a l’astrazione pittorica essenziale, fatta di gradazioni cromatiche costruttive e piani e curve nette dando concretezza a ciò che Platone indicava a proposito della “geometria”, volta alla “conoscenza dell’eterno”.
E’ proprio questo tipo di attenzione che si percepisce guardando le sue immagini, che immortalano qualcosa che è lì, vero, ma pare ideale: talvolta portando il corporeo oltre il limite del veritiero attraverso una metamorfizzazione realizzata con proiezioni caleidoscopiche, come in questa serie titolata “Tatuaggi di luce” del 1993.
Qui, consapevolemente citando un certo nudo di Man Ray e gli zebrati di Lucien Clergue, indica che i confini “naturali” della fisicità e del mondo non sono prestabiliti ma in continua modificazione grazie allo sguardo d’autore e all’arte.