Timeless[ness] La fotografia di Claudio Orlandi

di Barbara Martusciello
19 Gennaio 2017

Claudio Orlandi ha emancipato il suo linguaggio fotografico portandolo dalla restituzione più palesemente figurativa della realtà a un’astrazione pittorica essenziale, fatta di gradazioni cromatiche costruttive, piani netti, superfici schematiche: dando corpo a ciò che Platone indicava a proposito della geometria, volta alla conoscenza dell’eterno.
E’ proprio questo tipo di attenzione che si percepisce guardando le immagini di Orlandi, che immortalano qualcosa che è lì, vero, ma pare ideale: talvolta portando il corporeo oltre il limite del veritiero attraverso una metamorfizzazione realizzata con proiezioni caleidoscopiche (Tatuaggi di luce, 1993), citando un certo nudo di Man Ray e gli zebrati di Lucien Clergue, e indicando che i confini naturali del mondo non sono prestabiliti ma in continua modificazione anche grazie all’arte.

Quest’ultimo concetto sarà sempre ribadito, anche in successive serie, per esempio là dove il dato è da Orlandi occultato, come un enigma (…d’Isidore Ducasse) manrayano, in queste Timeless, 2016 dove la cosa osservata diventa quasi fiabesca, calata in un’atmosfera atemporale – appunto – che aumenta l’effetto d’irrealtà e lirismo. Queste foto zoomano sullo spectrum (*1), privo di figure umane, e ne sottolineano la composizione, la strutturazione, le conformità e difformità, i rapporti cromatici e le caratterizzazioni materiche.

In particolare, la nuova produzione si posa su una Natura straordinariamente emozionante e vasta, che comprende ghiacciai quasi incontaminati, grandi distese di lava, crepacci, disabitate montagne, ampie valli…
Nelle sue immagini, tutto questo scenario lo intuiamo ma non lo vediamo più nella sua integrità identificativa perché il nostro autore riesce a portare in primo piano ciò che per la sua ricerca è necessario, secondo quella pratica del “togliere invece che aggiungere” che – secondo Bruno Munari – significa “riconoscere l’essenza delle cose” e così “comunicarle” (*2). Pertanto, dall’interezza del paesaggio – e ciò vale per tutte le nuove fotografie di Orlandi – egli giunge a una sua traduzione e compagine riassuntiva. Ne ingrandisce, direttamente nell’obiettivo, una porzione, quella più rilevante a livello sostanziale, allontanandosi dall’elemento di partenza, dandoci un’Astrattismo lirico e toccando sottili, profonde corde emotive legate al concetto di Universalità.

Minimalismo, rarefazione, segni, lievissime tracce, arcani grafemi compongono icone di una percentuale di panorama che della sua completezza e vastità porta l’allusione e la supera, come, al dunque, supera anche il dettaglio del soggetto mirando a confondere. La perdita di convinzione visiva, della nozione, libera l’immaginazione che la fotografia di Orlandi esalta, riferendo con essa – e ancora una volta – che i limiti naturali, le frontiere della consuetudine, da certi e prefissati sono in perenne mutamento: lo studium (*3) arretra, il punctum (* 4) si espande, si fa plurale, l’effetto metamorfico avanza, l’incedere del climax s’inoltra, il Timelessness permea tutto e… la bellezza regna sovrana.

Written by Barbara Martusciello for Timeless
Translated by
Michele Rosi

Claudio Orlandi has emancipated his photographic language by shifting from a conspicuously figurative representation of reality to an essential pictorial abstraction, made of constructive chromatic shades, sharp planes, schematic surfaces, giving life to what Plato suggested about geometry, as pointed to the knowledge of the eternal.

It is this kind of attention, indeed, that arises looking at Orlandi’s images, that eternalize something that it’s there, real but seemingly ideal: sometimes elevating the corporeal beyond the limit of the truthful, through a metamorphism realized with kaleidoscopic projections (Tatuaggi di Luce, 1993), quoting a certain nude by Man Ray and “Gli Zebrati” by Lucien Clergue, and pointing that the natural boundaries of the world are not arranged in advance but they are continuously renewed and modified by Art. This concept will be always highlighted, also in his subsequent collections, for example where the fact is concealed by Orlandi, like an enigma (…of Isidore Ducasse) manrayano, in these Timeless (2016), where the observed becomes fairy, and lowered into a timeless atmosphere, indeed, augmenting the effect of unreality and lyricism. These pictures focus on the spectrum (*1), devoid of human presence, and they underline its composition and structural form, its chromatic bonds and materials. In particular, the new production rests on a Nature which is particularly touching and vast, including unspoiled glaciers, ample sweeps of lava, crevices, empty mountains and huge valleys. In his images, we can foresee this scenario but we actually do not see it in his whole identifying integrity because our author manages to bring to the foreground only what is necessary to his research, following the philosophy of “subtracting instead of adding” that – according to Bruno Munari – means “recognising the essence of things” and so communicating them (*2). So, from the integrity of the landscape – and this is true for all the most recent work by Orlandi – he reaches his own translation and summarization set. He enlarges, directly through the lens, a portion, the one he deems as the most substantially relevant, distancing from the original element, communicating a lyric abstractionism that touches thin and deep heartstrings related to the concept of universality.

Minimalism, rarefaction, signs, soft traces, arcane graphemes put icons of a portion of the landscape together, that in its completeness and vastness brings the allusion and overcomes it, just like it overcomes the detail of the subject, aiming at confusing. The loss of optical certainty, of the notion, frees the imagination that Orlandi’s photography enhances, pointing once again that natural limits, the frontiers of custom are continuously changing. The studium (*3) holds back, the punctum (*4) grows, becomes plural, the metamorphic effect expands itself, the majestic stride of climax advances, the Timelessness permeates everything and.. beauty reigns with supremacy.

(*1) Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia (La chambre claire, Paris 1980)
(*2) Bruno Munari, Verbale scritto, 1992
(*3) Roland Barthes, cit.
(*4) Roland Barthes, cit.

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