di Alessia Locatelli
L’arco alpino è un confine naturale per l’Italia, un elemento imprescindibile dal paesaggio del nord del Paese. Attraverso i suoi valichi, ha scandito per molti anni gli spostamenti migratori. Accadde a cavallo dei Secoli XII – XIII con il passaggio di intere popolazioni – anziani e bambini, masserizie, vettovaglie e animali – dall’alto Vallese verso il Monte Rosa o passando dalla Val d’ Aosta per il Colle del Teodulo (valli di Zermatt e Valtournanche) ed il Passo del Monte Moro (valli di Saas ed Anzasca) fino alla Valsesia, e tramite il passaggio del Colle del Turlo, verso Macugnaga. In epoche successive i passaggi sono divenuti stagionali, prettamente legati al commercio sulle lunghe distanze di prodotti o pellami. Che parte di questi movimenti si sia verificata in un periodo climaticamente favorevole – definito optimum climatico medievale – è testimoniato dal fatto che, la “Piccola Età Glaciale” che seguì è prontamente descritta a partire dal 1600 circa in alcune cronache come un accadimento non comune; si riporta, ad esempio, che in Valsesia la neve restò a basse quote sino a maggio, bloccando spostamenti tra i passi alpini e – conseguentemente – interrompendo i contatti tra le popolazioni in lingua walser con i cugini d’oltralpe. Un fenomeno climatico che a partire dal 1350 circa interessò l’Europa sino alla metà del XIX secolo, determinando effetti importanti sia dal punto di vista ambientale che antropologico-culturale.
I ghiacciai per l’equilibrio dell’ecosistema
Osservando da una prospettiva globale, i ghiacciai rappresentano un tassello fondamentale per l’equilibrio dell’ecosistema, come riferisce il rapporto speciale dell’IPCC (Special Report on the Ocean and Criosphere in a Changing Climate) pubblicato nel 2019: “Se le emissioni continuassero al ritmo attuale si conferma la proiezione al 2100 della riduzione di un terzo del glacialismo mondiale, di quasi tutto il ghiaccio alpino, e dell’innalzamento del livello del mare fino a 1 metro. (…) L’impatto avrebbe inoltre un’enorme ricaduta sulle attività antropiche di pesca e turismo, sull’economia, la salute, la cultura… Sino alle credenze locali”.
Anche i nostri ghiacciai alpini sono direttamente interessati dal preoccupante fenomeno. Nei mesi tra giugno e settembre, da una decina di anni circa, per limitare la fusione di neve e ghiaccio su ghiacciai antropizzati si sono sviluppati dei progetti per ridurre l’incidenza delle radiazioni solari e contrastare l’arretramento dei ghiacci. Un esempio può essere quello del Ghiacciaio del Presena, dove fino alla metà degli Anni Ottanta del secolo scorso si praticava lo sci estivo. Qui la sperimentazione ebbe inizio già nell’estate 2008. A partire da tale momento sono stati testati e collocati differenti teli artificiali (Geotessili / COVERTESS ICE) cuciti tra loro, principalmente in polipropilene, poliestere e acido polilattico. Quest’ultimo è ottenuto dalla polimerizzazione dell’acido lattico derivato dal destrosio del mais ed è stato definito un materiale Bio. Tale pratica, è poco nota alla maggior parte degli italiani, ivi compresi gli abitanti delle regioni coinvolte al posizionamento dei teloni nonchè a molti di coloro che godono di quei panorami nel periodo estivo.
Il progetto fotografico
Claudio Orlandi, fotografo romano, dal 2008 ha intrapreso un Long Term Project che segue la collocazione di questi teli ultra-tecnici lungo i ghiacciai, attraverso una “narrazione fotografica” – che ha attualmente coperto sei annualità – il cui titolo è Ultimate Landscapes, ovvero Paesaggi Definitivi.
Un procedimento irreversibile, definitivo appunto, quello su cui Orlandi ci porta a riflettere già dal titolo. Non possiamo definire il nostro domani se non delimitiamo il nostro presente entro nuove realtà e considerazioni che riguardano l’essere umano ed il suo rapporto con tutto ciò che sta oltre il Sé, il suo egotico abitare il mondo. Questi paesaggi sono definitivi perché irripetibili nella formazione e unicità, ma lo sono altresì perché la loro scomparsa rischia di divenire una definitiva sentenza per il pianeta.
La fotografia è il mezzo privilegiato per riportare una condizione, o meglio, una narrazione al contempo imperitura e contemporanea. Saper raccontare quello che accade attraverso le fotografie, il linguaggio visivo che più di altri oggi arriva alla sensibilità delle persone con immediatezza meditata, è una ricchezza in grado di contribuire enormemente allo sviluppo di una sensibilità collettiva in tal senso.
In mostra sono stati selezionati alcuni scatti di Orlandi contenuti nei sei progetti fotografici che hanno affrontato con differenti concetti, modalità ed approcci, i ghiacciai antropizzati. La prima, la terza e la quarta serie sono state fatte sul ghiacciaio del Presena, la seconda sullo Zugspitze (la vetta più alta di Germania, vicino a Garmisch-Partenkirchen), e in parte sullo Stubai (Austria); la quinta nel paradiso dei ghiacci sopra Zermatt e la sesta, e più recente, alle sorgenti del Rodano, sul Rhonegletscher (sempre in Svizzera nel cantone Vallese), abbracciando così gran parte dei territori connessi.
Le fotografie non rivelano immediatamente ciò che in realtà rappresentano. L’abile lavoro di Orlandi consiste nel suggerire agli occhi di chi osserva – attraverso l’inquadratura, la scelta degli orari dello scatto e delle luci e grazie alla capacità creativa – forme e linee che giocano con lo sguardo, affascinandolo sia con i giochi di contrasto e le cromie, che attraverso l’astrazione geometrica.
Ultimate Landscapes 1 è una rappresentazione teatrale. I fondi scuri, i teli immortalati riversi come drappi su un proscenio. Le stampe, in dimensioni panoramiche servono ad amplificare questa sensazione di engagement con l’osservatore.
In Ultimate Landscapes 2 quello che ad una prima osservazione pare come una macrofotografia di un candido panneggio scultoreo in marmo – una Paolina Borghese del Canova o il lineare panneggio di una classica Kore greca – ad uno sguardo più attento rivela alcune incongruenze. Uno specchio d’acqua, rocce, sedimenti… Tutti elementi discordanti dall’immaginario appagante catalogato dal cervello appena prima, che evidenziandosi vanno a svelare la dura realtà di un ecosistema in crisi. Inizia così un “cortocircuito concettuale” del pensiero. Non appena si comprende il soggetto rappresentato, un brivido corre lungo la schiena. Quelle stesse fotografie che restituivano un senso di pace, ora evidenziano un’urgenza.
Nel suo montaggio “a mosaico” Ultimate Landscapes 3 sembra raccontare, attraverso il movimento e il colore, i passi primari di una forma viva, un vegetale, un bigatto che pare risalire verso l’esterno di una cavità.
Ultimate Landscapes 4 e 5 si aprono a paesaggi dove i teli si mostrano meno criptici nella rappresentazione formale, in cui le atmosfere sono suggerite dai contrasti, dalle nubi basse e dagli ambienti alpini.
Ultimate Landscapes 6 invece si avventura nelle grotte di ghiaccio, indugia nel bianco perlaceo delle coperture mentre dialoga in ossimoro con il nero intenso delle rocce, mostra teli strappati dalle intemperie che in alta montagna si esprimono con frequenza e vigore nella stagione estiva.
Il tentativo di restituire un pezzo di narrazione e di regalare un’emozione che possa diventare pensiero critico è stata l’occasione che ci ha permesso di esporre la serie completa Ultimate Landscapes per la prima volta insieme, per omaggiare le nostre Alpi come parte integrante di un sistema complesso, che fa dell’arco alpino un ambiente da conoscere e tutelare nel prossimo futuro.
The alpine arc is a natural border for Italy, an essential element in the landscape of the north of the country. Through its passes, it has marked for many years the migratory movements. It happened at the turn of the twelfth and thirteenth centuries with the passage of entire populations – old people and children, household goods, provisions and animals – from the upper Valais towards Monte Rosa or from Val d’Aosta through the Colle del Teodulo (Zermatt and Valtournanche valleys) and the Passo del Monte Moro (Saas and Anzasca valleys) to Valsesia, and through the passage of the Colle del Turlo, towards Macugnaga.
In later epochs the passages became seasonal, purely related to long distance trade of products or hides. Part of these movements occurred in a climatically favorable period – defined as medieval climatic optimum – and this is testified by the fact that the “Little Ice Age” that followed is readily described from about 1600 in some chronicles as an uncommon event; it is reported, for example, that in Valsesia the snow remained at low altitudes until May, blocking movements between the alpine passes and – consequently – interrupting the contacts between the Walser-speaking populations and their cousins beyond the Alps. A climatic phenomenon that, starting around 1350, affected Europe until the middle of the 19th century, determining important effects both from the environmental and the anthropological-cultural point of view.
Viewed from a global perspective, glaciers represent a key piece of the ecosystem balance, as the IPCC (Special Report on the Ocean and Criosphere in a Changing Climate published in 2019) reports: “If emissions will continue at the current rate, the projection to 2100 of the reduction of one-third of the world’s glaciers, of almost all of the alpine ice, and of sea level rise of up to 1 meter is confirmed. (…) The impact would also have enormous repercussions on the anthropic activities of fishing and tourism, on the economy, health, culture… Even on local beliefs”.
Our alpine glaciers are also directly affected by the worrying phenomenon. In the months between June and September, since about ten years, in order to limit the melting of snow and ice on glaciers, some projects have been developed to reduce the incidence of solar radiation and to contrast their retreat. An example is the Presena Glacier, where summer skiing was practiced until the mid-eighties of the last century. Here experimentation began in the summer of 2008. Starting from that moment, different artificial sheets (Geotextiles / COVERTESS ICE) sewn together, mainly in polypropylene, polyester and polylactic acid, were tested and placed. The latter is obtained from the polymerization of lactic acid derived from corn dextrose and has been defined as an organic material. This practice is little known to most Italians, including the inhabitants of the regions involved in the placement of the sheets as well as many of those who enjoy those views in summer.
Claudio Orlandi, a Roman photographer, since 2008 has undertaken a Long Term Project that follows the placement of these ultra-technical sheets along the glaciers, through a “photographic narration” – which has currently covered six years – whose title is Ultimate Landscapes.
An irreversible procedure, definitive in fact, the one on which Orlandi leads us to think already from the title. We cannot define our tomorrow if we do not delimit our present within new realities and considerations regarding the human being and his relationship with everything that lies beyond the Self, his egotistical inhabitation of the world. These landscapes are definitive because they are unrepeatable in their formation and uniqueness, but they are also definitive because their disappearance risks of becoming a permanent sentence for the planet.
Photography is the privileged means to report a condition, or better, a narration at the same time imperishable and contemporary. Knowing how to narrate what happens through photographs, the visual language that more than any other today reaches people’s sensibility with meditated immediacy, is a richness that can contribute enormously to the development of a collective sensibility in this sense.
In the exhibition some shots of Orlandi contained in the six photographic projects that have dealt with anthropized glaciers with different concepts, modalities and approaches have been selected. The first, third and fourth series were taken on the Presena glacier, the second on the Zugspitze (the highest peak in Germany, near Garmisch-Partenkirchen), and partly on the Stubai (Austria); the fifth in the ice paradise above Zermatt and the sixth, the most recent, at the source of the Rhone, on the Rhonegletscher (also in Switzerland in the canton of Valais), thus embracing most of the related territories.
The photographs do not immediately reveal what they actually represent. Orlandi’s skillful work consists in suggesting to the eyes of the observer – through framing, the choice of shooting times and lights, and thanks to his creative ability – shapes and lines that play with the gaze, fascinating it both with the play of contrasts and colors, and through geometric abstraction.
Ultimate Landscapes 1 is a theatrical performance. The dark backgrounds, the immortalized canvases spread out like drapes on a proscenium. The prints, in panoramic dimensions serve to amplify this feeling of engagement with the viewer.
In Ultimate Landscapes 2, what at first glance appears to be a macrophotograph of a white marble sculptural drapery – a Paolina Borghese by Canova or the linear drapery of a classical Greek Kore – at a closer look reveals some inconsistencies. A mirror of water, rocks, sediments… All elements that are discordant from the satisfying imaginary catalogued by the brain just before, which, by highlighting themselves, reveal the harsh reality of an ecosystem in crisis. Thus begins a “conceptual short-circuit” of thought. As soon as one understands the subject represented, a shiver runs down one’s spine. Those same photographs that used to give a sense of peace, now highlight an urgency.
In its “mosaic” montage, Ultimate Landscapes 3 seems to narrate, through movement and color, the primary steps of a living form, a vegetable, a silkworm that seems to be climbing towards the outside of a cavity.
Ultimate Landscapes 4 and 5 open up to landscapes where the sheets are less cryptic in their formal representation, where the atmospheres are suggested by contrasts, low clouds and alpine environments.
Ultimate Landscapes 6, on the other hand, ventures into ice caves, lingers in the pearly white of the roofs while dialoguing in oxymoron with the intense black of the rocks, showing sheets torn by the weather that in the high mountains is expressed with frequency and vigour in the summer season.
The attempt to give back a piece of narrative and to give an emotion that can become critical thought was the opportunity that allowed us to exhibit the complete series Ultimate Landscapes for the first time together, to pay homage to our Alps as an integral part of a complex system, which makes the Alps an environment to be known and protected in the near future.