Nel cuore di Treviso, Casa Robegan, ospita una mostra fotografica che sfida la percezione reclamando attenzione etica sullo scioglimento dei ghiacciai quali indicatori di un cambiamento non solo urgente ma ormai incontrovertibile del clima.
Ultimate Landscapes è un avvertimento culturale necessario, vediamo perché.
Viviamo un’epoca di videobesità, nella quale le immagini – anche quelle più drammatiche come i “prima e dopo” dei ghiacciai – vengono consumate e presto dimenticate. Siamo spettatori talmente saturi che non reagiamo più. Il punto sta proprio qui: non servono reazioni ma quelle che chiamo “reaffezioni”. Cioè è il legame empatico con il mondo che si è perso per via dell’assuefazione agli stimoli visivi, e non il raziocinio.
Quello viene dopo. È il sentimento a muovere il ragionamento.
Orlandi ci invita non tanto a capire, ma a “comprendere”, nel senso etimologico di prendere con sé, far proprie le immagini. Digerirle volendo. Quello che altrove ho definito metabolismo scopico.
Claudio Orlandi utilizza l’immagine non come semplice documento ma come atto interrogativo, e quindi provocatorio. Nella serie Ultimate Landscapes, i ghiacciai alpini coperti da teloni geotermici vengono ritratti in modo da destabilizzare la percezione. La verosimiglianza tra i teli e le superfici glaciali innesca una tensione che ci obbliga a guardare, a mettere in discussione la nostra capacità di intendere, in un’epoca in cui tutto pare già visto.
I panorami fotografati – il Rodano, la Diavolezza, lo Stelvio, lo Zugspitze, lo Stubai – non vengono mostrati nella loro bellezza originaria, ma nell’ambiguità che scardina: i teloni bianchi, che dovrebbero rallentare lo scioglimento, evocano sudari, coperte funebri, e ancora paesaggi alieni, o forse il fatto che il nostro vedere è ormai alieno, o alienato.
Altro in sintesi. In questo paradosso visivo si insinua il messaggio più profondo dell’opera: il passaggio dall’estetica alla responsabilità. Senza un’etica del vedere – senza consapevolezza della posizione da cui guardiamo e del perché – l’estetica si riduce a una forma di cosmetica, ad un semplice abbellimento del tragico.
L’arte come un’esperienza concettuale che interroga chi guarda, o meglio il senso stesso del guardare. L’osservatore non è invitato a “sapere”, ma a “partecipare”: a farsi testimone e, quindi, attore partecipe. È da questa consapevolezza che nasce il lavoro di Orlandi, che non pretende di offrire soluzioni ma di aprire visioni, interrogativi, possibilità.
Non si tratta solo di “vedere” dei ghiacciai che si sciolgono, ma di capire che quello scioglimento riguarda anche la nostra capacità di abitare il mondo. La fragilità delle masse glaciali è lo specchio della lotta goffa e disperata dell’uomo che corre ai ripari nascondendo il dato di fatto, mascherando il disagio con l’ultima trovata antropocentrica. È da questa consapevolezza che nasce il lavoro di Orlandi, che non pretende di offrire soluzioni ma di aprire visioni, interrogativi, possibilità.
Ultimate Landscapes è dunque un racconto che non rassicura, che non documenta, ma trasfigura. Un invito a cambiare postura: da spettatori passivi a testimoni responsabili. In un tempo in cui il ghiaccio si scioglie e le certezze si assottigliano, Orlandi ci mostra che l’arte può ancora essere uno strumento per commuovere più che smuovere i nostri passi. Ma solo se siamo disposti a guardare davvero. Altrimenti il 21 marzo, istituito recentemente quale Giornata Mondiale dei Ghiacciai sarà solo un altro appuntamento sul calendario a cui dedicare un post.